venerdì 28 marzo 2014

La confisca di prevenzione: una pena senza processo.

del Dott. Davide Cappa*.

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Con ordinanza del 30 gennaio 2014, la sesta sezione penale della Suprema Corte ha rimesso alle Sezioni Unite la controversa questione circa l’applicabilità del principio di irretroattività alla disciplina normativa della confisca di prevenzione. In attesa di leggere ed annotare tale provvedimento, si intende offrire ai gentili lettori alcuni spunti di riflessione in ordine a questa particolare forma di ablazione patrimoniale.

Confisca: il sostantivo ricorre frequente ogniqualvolta si parli di criminalità organizzata. Molto spesso, infatti, i media riferiscono di operazioni di polizia che portano alla «confisca dei beni» nella disponibilità di individui particolarmente vicini ad ambienti mafiosi. Accade non di rado, però, che il termine sia utilizzato generalmente, senza che ad esso venga attribuito il nomen iuris corretto.
Nell'ottica di una efficiente politica criminale volta a colpire le associazioni di tipo mafioso sul versante finanziario, la confisca di prevenzione è, senza dubbio, la misura patrimoniale maggiormente utilizzata.
Il tema è di enorme attualità e, recentemente, la disciplina è stata rivisitata dal c.d. Codice Antimafia[1] il quale, tuttavia, non sembra aver risolto i problemi attinenti all’istituto oggetto d’esame.
La confisca di cui si discute appartiene al genus delle misure di prevenzione e, pertanto, dovrebbe essere finalizzata a prevenire la commissione di reati interrompendo il nesso di disponibilità tra un bene ed una persona considerata socialmente pericolosa, a prescindere che la stessa sia condannata in seguito all'accertamento di un fatto-reato. Eppure, risulta difficile considerarla tale: è innegabile, infatti, il suo contenuto afflittivo che, come noto, è «carattere essenziale e costante dello stesso concetto di pena»[2]. Ed infatti, se da un lato il decreto adottato dal tribunale per disporla devolve allo Stato i beni che ne sono oggetto in via definitiva, diversamente dai veri provvedimenti di prevenzione per loro natura temporanei giacché condizionati al permanere dello stato di pericolosità sociale, dall'altro, le recenti riforme l'hanno spinta sempre più sotto l'egida di una vera e propria sanzione patrimoniale, permettendone l'applicazione a prescindere dalla preventiva irrogazione di una misura personale, sganciandola, così, da qualsiasi giudizio circa la personalità del suo destinatario.
Insomma, nonostante l'etichetta formale che il legislatore le ha attribuito, il contenuto effettivo di tale confisca appare identico a quello di una vera e propria misura sanzionatoria.
Ebbene, qualora tale misura seguisse l'accertamento di un fatto penalmente rilevante, nessuna critica le dovrebbe muoversi; l'istituto, però, è a dir poco assurdo ove se ne considerino i presupposti applicativi.
 Dal punto di visto soggettivo, l'art. 16 Cod. Ant. prescrive che la misura si applica agli «indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso»; pertanto, un mero indizio di partecipazione ad un sodalizio criminale è da solo sufficiente a giustificare l'azione di prevenzione con la precisazione che, qualora il quadro indiziario sia grave preciso e concordante, è doveroso esperire quella penale volta all'accertamento del fatto-reato di cui all'art. 416 bis c.p.
Dal punto di vista oggettivo, poi, l'articolo 24 Cod. Ant. prescrive che il tribunale dispone la confisca dei beni nella disponibilità dell'indiziato qualora quest'ultimo non sia in grado di giustificarne la legittima provenienza e questi risultino di origine illecita, ovvero quando il loro valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato ai fini fiscali o alla attività economica del proposto.
 L'ipotesi in cui sia fornita in giudizio la prova, anche indiziaria, dell'origine illecita di uno o più beni non appare particolarmente problematica. Tutt'altre considerazioni, invece, devono farsi con riferimento all'elemento della sproporzione. La norma citata legittima il provvedimento di confisca anche nel caso in cui il giudice ravvisi, semplicemente, una discrepanza tra il valore dei beni nella disponibilità del proposto e la sua dichiarazione dei redditi. La semplice sperequazione tra reddito e valore dei beni, tuttavia, altro non è, a ben vedere, che un mero indizio di origine illecita degli averi dell'indiziato.

Orbene, come è noto, l'art. 192 del codice di rito ammette la prova indiziaria nel solo caso in cui ricorrano indizi gravi precisi e concordanti; così, non può dedursi la partecipazione di Tizio ad una consorteria di stampo mafioso da un mero ed isolato indizio, né può provarsi l'origine illecita dei suoi averi o addirittura dell'intero suo patrimonio sulla scorta del solo elemento della sproporzione. Eppure, a ben vedere, in un numero statisticamente imponente di casi, la confisca di prevenzione si fonda esclusivamente proprio sulla somma algebrica di tali indizi.
In altri termini, si applica una misura sostanzialmente repressiva senza che sussista alcuna prova circa la partecipazione del proposto ad una consorteria di stampo mafioso, né sia provata l'origine illecita dei suoi averi. Ed infatti, i presupposti fondanti il provvedimento definitivo di confisca, ancorati allo scivoloso terreno dell’indizio, sono assolutamente cementati nell'incertezza.
La misura, pertanto, lungi dall'essere effettivamente preventiva, volta cioè a prevenire la commissione di futuri reati, sembra finalizzata, piuttosto, a disarticolare le organizzazioni criminali sul versante finanziario facendo a meno di qualsiasi tipo di accertamento; così, mentre nel processo penale è necessario addurre prove per addivenire alla dichiarazione della penale e personale responsabilità dell’imputato, nel procedimento di prevenzione il legislatore si accontenta, invece, di meri indizi per devolvere in via definitiva allo Stato i beni nella disponibilità di un soggetto che neppure è stato condannato.
Nonostante la finalità ultima di tale istituto sia senza dubbio meritevole, è assurdo, francamente, che in uno Stato democratico si possa applicare una misura squisitamente sanzionatoria sulla scorta di meri indizi, in esito ad un procedimento dove regna sovrana la più totale rinunzia a qualsivoglia tipo di accertamento[3]. A ben vedere, peraltro, esistono altri istituti che perseguono le medesime finalità e che sembrano meglio garantire alcuni diritti costituzionalmente garantiti. Si pensi, ad esempio, alla confisca ex art. 12 sexies D.l. 08.06.1992, n. 306, conv. in legge 07.08.1992, n. 356, i cui presupposti sono i medesimi previsti per la confisca di prevenzione se non fosse per la necessaria e preventiva condanna del destinatario che, pertanto, salva questa particolare misura di sicurezza da tutte le considerazioni critiche appena fatte.
Potrebbe obiettarsi a tali conclusioni che la misura è assolutamente efficace nonché legittimata da evidenti ragioni pratiche. Tali rilievi sono solo in parte condivisibili; è impensabile, infatti, dimenticare e maltrattare quel ventaglio di principi costituzionali cui si ispira l'intera materia penale al solo fine di fronteggiare un fenomeno, quello dell’associazionismo criminale, che ben può essere contrastato con strumenti simili ma, al contempo, più rispettosi della carta fondamentale.

*Davide Cappa nasce a Camposampiero (Padova) l’11 maggio 1988.
Dopo il diploma di maturità scientifica, consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Ferrara, discutendo nel dicembre 2013 una tesi in Diritto Processuale Penale riportando la votazione di 110/110.
E’ praticante avvocato presso un noto studio legale di Padova che si occupa principalmente di diritto penale. E’ fortemente interessato, in particolare, al diritto penale tributario, fallimentare ed ambientale nonché agli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata.
Intende ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione forense e partecipare, poi, al concorso in magistratura.

CONTATTI:





[1] Il riferimento è allo ormai noto D. Lgs. 06 settembre 2011, n. 159.
[2] Il rilievo è di F. Mantovani, Diritto Penale. Parte Generale, 2007, p. 713.
[3] Circa il difficile (impossibile?) rapporto tra la democrazia e la presenza in un determinato territorio di una criminalità organizzata economicamente forte, si leggano le belle pagine di L. Ferrajoli, Criminalità organizzata e democrazia, in Studi sulla questione criminale, 3, 2010, pp. 15-23

mercoledì 26 marzo 2014

Il reato di truffa.

del Dott. Fabio Bisceglie.

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Definizione
La truffa viene classificata da dottrina e giurisprudenza come reato plurioffensivo, in quanto si pone non solo a tutela del patrimonio, ma anche a tutela della libertà del consenso dell’autonomia della libertà, le quali sono minacciate dalle condotte poste in essere dal soggetto attivo.
Il delitto in esame è regolamentato dall’art. 640 c.p. Al primo comma, il legislatore stabilisce che: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032”.
Dall’articolo in questione si evince che il delitto di truffa non richiede necessariamente che la persona danneggiata dal reato sia la stessa che è stata indotta in errore dal soggetto attivo(dunque può non esservi identità tra il soggetto passivo del reato e la vittima dell’inganno). Detta definizione, è pacificamente sostenuta dalla giurisprudenza di merito, la quale enuncia che l’integrazione del reato di truffa non implica la necessaria identità fra la persona indotta in errore e la persona offesa, e cioè titolare dell’interesse patrimoniale leso, ben potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata ad un soggetto diverso del patrimonio. In tal caso, ai fini della configurabilità del reato di truffa, è indispensabile che tra i due sussistita un rapporto di rappresentanza legale o negoziale, in virtù del quale il rappresentante, che subisce il comportamento delittuoso dell’agente, abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato. (Cass. Sez. II, 10 aprile 2012, N. 16630).
A titolo esemplificativo si pensi alla truffa subita da un agente di commercio di una società che produce capi di abbigliamento a seguito della stipula di un contratto avente ad oggetto la vendita di un determinato quantitativo di merce.

Elementi oggettivi: a) gli artifizi e i raggiri
Da un’analisi prettamente oggettiva, gli elementi costitutivi del delitto de quo, sono essenzialmente tre:

lunedì 17 marzo 2014

La Cassazione sul rapporto tra rapina e sequestro di persona.

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Cassazione Penale, Sez. I, 17 maggio 2013, n. 23937

MASSIMA

Integra il delitto di cui all'art. 605 cod. pen. e non quello di cui all'art. 630 cod. pen. la condotta di chi prende in ostaggio una persona, cui toglie la libertà per mantenere il profitto già conseguito con la commissione di altro reato. (Fattispecie relativa a sequestro di persona commesso a seguito di una rapina in banca, per agevolare la fuga).

SENTENZA
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 04.01.2013 il Tribunale di Messina, costituito ex art. 309 c.p.p., adito dall'indagato T. G., confermava il provvedimento 15.12.2012 con il quale il Gip della stessa sede aveva applicato nei confronti del predetto la misura cautelare della custodia in carcere per concorso in rapina aggravata, tentato omicidio ed altro (come meglio specificato in atti), qualificando peraltro il reato ascritto al capo 3) della provvisoria incolpazione, addebitato ex art. 630 c.p., quale sequestro di persona ex art. 605 c.p..
In particolare riteneva detto Tribunale come fossero pacifici i fatti, del resto ammessi dal predetto indagato, arrestato in flagranza degli stessi, nonchè chiaramente risultati dalle pronte indagini: il T., fatta irruzione armata in una banca insieme ad un complice, sottratta una pistola ad una guardia giurata, prelevati novemila Euro, aveva preso in ostaggio dapprima una donna e poi un ragazzo; quindi, inseguito nella fuga da agenti di Polizia, aveva sparato al loro indirizzo un colpo di pistola ad altezza d'uomo; infine veniva catturato.
Sussistevano, pertanto, gravi indizi di colpevolezza rilevanti ex art. 273 c.p.p., dovendosi peraltro qualificare - osservava ancora il Tribunale - come sequestro di persona ex art. 605 c.p., il fatto contestato come reato di cui all'art. 630 c.p., sul rilievo che la relativa condotta era stata posta in essere al fine di assicurarsi la fuga e l'impunità.
Sussistevano poi esigenze cautelari che imponevano, ai sensi dell'art. 274 c.p.p., la misura carceraria - riteneva sempre il Tribunale - per il pericolo di reiterazione di consimili delitti in considerazione delle modalità esecutive di fatti tanto gravi, denotanti spiccata professionalità, e della negativa personalità dell'indagato desumibile dai plurimi precedenti penali anche specifici.
2. Avverso tale ordinanza proponevano ricorso per cassazione sia il Procuratore della Repubblica presso l'anzidetto Tribunale che la difesa dell'indagato T..

domenica 9 marzo 2014

Risultati in percentuale esame avvocato 2013/2014: prime indiscrezioni!

Care/i ragazze/i,
come ogni anno raccolgo e vi comunico le prime indiscrezioni (da prendere con le pinze, anche se lo scorso anno si sono avvicinate moltissimo alla realtà dei risultati) sulle percentuali di promossi presso le varie Corti d’Appello che correggono le prove scritte degli esami d’avvocato.

Per rimanere aggiornati sui risultati reali e sulle prossime indiscrezioni CLICCATE sul tasto MI PIACE qui al lato ------->

Brescia corretta da Cagliari 35%
Ancona corretta da Messina 40%
Perugia corretta da Ancona 33-35%
Trento corretta da Campobasso 42-45%
Cagliari corretta da L'Aquila 35%
Genova corretta da Reggio Calabria 38-40%
Reggio Calabria corretta da Brescia 30%
L'Aquila corretta da Genova 30-33%
Catania corretta da Lecce 40%
Lecce corretta da Palermo 35%
Palermo corretta da Salerno 40%
Bari corretta da Bologna 30%
Firenze corretta da Venezia 38-40%
Torino corretta da Catanzaro 42-45%
Napoli corretta da Milano 25-28%
Roma corretta da Napoli 40%
Milano corretta da Roma 35%

Vi ribadisco che si tratta di semplici indiscrezioni e di considerarle in quanto tali.

giovedì 6 marzo 2014

Le Sezioni Unite sul furto aggravato dal mezzo fraudolento.

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Cassazione penale, SS. UU., 30 settembre 2013, n. 40354.

MASSIME
1 – Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela. (In applicazione del principio, la Corte ha riconosciuto al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela).
2 – Nel reato di furto, l'aggravante dell'uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel corso dell'azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la configurabilità dell'aggravante nel caso di occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita "self-service").

SENTENZA
RITENUTO IN FATTO
1. A seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Sulmona ha affermato la responsabilità di S.M. in ordine al reato di furto aggravato di cui all'art. 624 c.p., e art. 625 c.p., comma 1, n. 2.
La sentenza è stata confermata dalla Corte di appello dell'Aquila.
Secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, l'imputata sottraeva dagli scaffali di un grande magazzino denominato Oviesse alcuni capi d'abbigliamento per bambini ed un top da donna privi di placche antitaccheggio, li occultava in una grande borsa che appariva piena, passava la cassa senza pagare, usciva dall'esercizio e veniva fermata dai Carabinieri cui era nota per precedenti, analoghi illeciti.
Nell'occultamento della merce è stata ravvisata l'aggravante dell'uso di mezzo fraudolento di cui al richiamato art. 625. Si è ritenuto che tale condotta, improntata ad astuzia e scaltrezza, abbia costituito un espediente utile per eludere i controlli visivi del personale e superare le casse senza essere fermata.
2. Ricorre per cassazione l'imputata deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si prospetta la mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta esistenza della circostanza dell'uso del mezzo fraudolento. Si argomenta che l'aggravante in questione richiede un comportamento ingegnoso, un sotterfugio o un particolare accorgimento che abbia consentito all'autore del reato di eludere o superare gli ostacoli materiali o personali volti ad impedire la sottrazione del bene. La ratio della detta circostanza va ricercata nell'intenzione del legislatore di colpire con una sanzione più grave l'agente che, mostrando particolari capacità criminose, riveli una spiccata pericolosità sociale.