venerdì 30 marzo 2012

Tutta la Cassazione penale 2012


Oggi primo appuntamento con la rubrica “Tutta la Cassazione penale 2012” con cui potrete conoscere tutte le sentenze più rilevanti della Suprema corte in maniera assolutamente gratuita.
Per rimanere costantemente aggiornati cliccate sul tasto MI PIACE qui al lato ----->

avv. Giulio Forleo, foro di Roma.

 Istigazione alla corruzione: elemento oggettivo.
Cassazione penale, sez. VI, 25 gennaio 2012, n. 3176

Ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione, la serietà dell'offerta deve essere necessariamente correlata al tipo di controprestazione richiesta, alle condizioni dell'offerente e del pubblico ufficiale, nonché alle circostanze di tempo e di luogo in cui l'episodio si è verificato. (Fattispecie relativa ad una complessiva somma di cinque euro offerta a due agenti operanti al fine di impedire il sequestro amministrativo di un ciclomotore sprovvisto di documenti assicurativi, in cui la S.C. ha annullato senza rinvio l'impugnata sentenza, escludendo altresì il reato di oltraggio, in astratto configurabile, poiché il fatto era stato commesso anteriormente alla l. 15 luglio 2009, n. 94).

Uso di gruppo di stupefacenti: mandato all’acquisto.
Cassazione penale, sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 3513

Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, nell'ipotesi del mandato all'acquisto collettivo ad uno degli assuntori, e nella certezza originaria dell'identità degli altri, non è punibile ai sensi dell'art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a seguito delle modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49.

Correlazione tra accusa e sentenza.
Cassazione penale, sez. VI, 30 gennaio 2012, n. 3550

Viola il principio di correlazione con l'accusa la sentenza di condanna che, a fronte di una contestazione ben definita (nella specie, per i reati di concussione e omissione di atti d'ufficio), formuli una serie di imputazioni alternative, ciascuna connotata da oggettiva incertezza nella ricostruzione del fatto storico, optando per quella più favorevole all'imputato, anziché concludere per una decisione di tipo assolutorio. (Fattispecie in cui la S.C. ha censurato la sentenza impugnata, che aveva riqualificato il fatto di concussione come reato di corruzione propria, ritenendolo avvinto dalla continuazione al reato di rifiuto di atti d'ufficio).

Associazione per delinquere finalizzata allo spaccio: vincolo tra fornitore e acquirenti.
Cassazione penale, sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 3509

L'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti sussiste non solo nel caso di condotte parallele poste in essere da persone accomunate dall'identico interesse di realizzazione del profitto mediante il commercio di droga, ma anche nell'ipotesi di un vincolo durevole che accomuna il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa la ricevono per immetterla nel mercato del consumo, non essendo di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune né la diversità di scopo personale, né la diversità dell'utile, ovvero il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell'intera attività criminale. 

Nozione di volontarietà nella desistenza volontaria.
Cassazione penale, sez. VI, 10 gennaio 2012, n. 203

La desistenza dall'azione delittuosa può ritenersi volontaria quando la determinazione del soggetto agente sia stata libera e non coartata, ossia quando la prosecuzione dell'azione non sia impedita da fattori esterni che ne renderebbero estremamente improbabile il compimento. (Fattispecie in cui la S.C. ha censurato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso la desistenza nella condotta dell'imputato, liberamente allontanatosi da un'abitazione rurale dopo averne forzato la porta d'ingresso, rovistando al suo interno e mettendo tutto a soqquadro, senza peraltro asportare nulla).

Reati contro la pubblica amministrazione: attenuante particolare tenuità del fatto.
Cassazione penale, sez. VI, 10 gennaio 2012, n. 199.

In tema di delitti contro la P.A., la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato. 

Gestione rifiuti: applicabilità legge 210 del 2008.
Cassazione penale, sez. III, 17 gennaio 2012, n. 1406

L'attività di trasporto di rifiuti in assenza di iscrizione all'Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti, se svolta in una Regione in cui vige lo stato di emergenza nel settore, integra il delitto previsto dall'art. 6 della l. 30 dicembre 2008, n. 210 e non il reato contravvenzionale previsto dall'art. 256, comma primo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. (Nella specie, l'attività era abusivamente svolta nella Regione Calabria, vigente il d.P.C.M. 18 dicembre 2009 che aveva dichiarato il predetto stato emergenziale).

giovedì 29 marzo 2012

Il reato di associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.).



di Filippo Lombardi

1. NATURA E CARATTERI STRUTTURALI DEL REATO ASSOCIATIVO.

Il reato di associazione mafiosa (art. 416 bis del codice penale) è, innanzitutto, un delitto contro l’ordine pubblico, al pari del delitto di associazione per delinquere “semplice”, disciplinato dall’articolo precedente. Ciò vuol dire che il Legislatore ha scelto di realizzare una tutela anticipata dei beni giuridici afferenti ai singoli, utilizzando un bene giuridico strumentale. Tali beni giuridici servono, infatti, al fine di punire attività criminose dotate di un alto grado di lesività, come nel caso del delitto ad oggetto della trattazione. E’ poi un c.d. reato plurisoggettivo, cioè un reato a concorso di persone necessario. Presenta la caratteristica della “reciprocità”, che lo qualifica in maniera più approfondita. I reati plurisoggettivi, infatti, possono essere: unilaterali, bilaterali e reciproci. Quelliunilaterali vedono coinvolti più soggetti i quali, pur agendo per un proposito comune, mantengono le loro caratteristiche di indipendenza, come se i più soggetti utilizzassero per fini personali la moltitudine di persone e l’agire in concorso con altri. Nei reati plurisoggettivi bilaterali, invece, i soggetti agiscono gli uni contro gli altri per raggiungere fini contrastanti (come nel caso del delitto di Rissa). I reati plurisoggettivi reciproci, infine, riprendono le sfumature insite in quelli unilaterali, ma approfondiscono il legame e la collaborazione tra i soggetti coinvolti, per raggiungere il fine comune. Il reato plurisoggettivo reciproco trova quindi la sua espressione massima nel reato associativo.
Volendo quindi chiarire in sintesi le varie tipologie di reato che implicano la cooperazione di più soggetti, possiamo esemplificare come segue: concorso eventuale di persone nel reato; concorso necessario di persone nel reato (c.d. reato plurisoggettivo, di cui una particolare tipologia è il reato associativo); concorso esterno nel reato plurisoggettivo (la figura più problematica è proprio quella del concorso esterno in associazione mafiosa).
Di conseguenza sarà utile, ai fini del nostro discorso, capire cosa distingue il concorso eventuale di persone nel reato dal concorso necessario di persone nel reato. E, altresì, la differenza che intercorre tra concorso interno e concorso esterno in associazione mafiosa.


2. CONCORSO DI PERSONE NEL REATO - EVENTUALE E NECESSARIO.

Sulla prima questione, può dirsi che la giurisprudenza di legittimità ha definito costantemente gli elementi che devono sussistere nel reato associativo, e che lo distinguono dal concorso eventuale di persone nel reato.

lunedì 26 marzo 2012

L'elemento soggettivo del reato: la colpa.

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

Il secondo elemento soggettivo che la legge penale fornisce nell’articolo 42 è la colpa. Il delitto sarà colposo, o contro l’intenzione, quando il soggetto agente, seppure ha previsto l’evento come conseguenza della sua condotta, non l’ha voluto, ed esso si è verificato a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o violazione di norme positive (legge, regolamenti, ordini o discipline). Già partendo dalla sua definizione, è possibile suddividere il concetto di colpa in più tipologie:
- COLPA COSCIENTE. Il reo ha previsto ma non ha voluto l’evento.
- COLPA INCOSCIENTE. Il reo non ha previsto e non ha voluto l’evento.
Nel primo caso il soggetto è rimproverabile perché, prevedendo, avrebbe potuto orientare la propria condotta in senso inverso rispetto all’azione lesiva o pericolosa. Nel secondo caso egli è rimproverabile perché gli si richiedeva di prevedere, in modo da poter evitare l’evento. Originariamente la colpa incosciente veniva reputata problematica, poiché fondata sulla presunzione di prevedibilità, il che la poneva al limite con la responsabilità oggettiva. Attualmente il problema è risolto, ritenendo che il reato colposo con colpa incosciente non vi sarà nel caso in cui l’evento fosse oggettivamente imprevedibile, poiché deve ragionevolmente intendersi che ad ogni persona potrà e dovrà richiedersi al massimo ciò che è nella sua effettiva sfera di controllo e di conoscibilità. 
Altra distinzione importante in tema di categorie di colpa è la seguente, che interviene tra:

martedì 20 marzo 2012

L'elemento soggettivo del reato: il dolo.

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

Originariamente, con la concezione psicologica della colpevolezza, gli elementi soggettivi del dolo e della colpa erano considerati legami psichici tra soggetto e fatto, ed inseriti appunto nell’alveo della colpevolezza. Con la concezione c.d. normativa della colpevolezza, abbiamo già notato come gli stessi siano stati “trasferiti” nell’alveo della tipicità, poiché valutati come elementi descrittivi della fattispecie. In altre parole, se un soggetto commette obbiettivamente un furto, ma non vi è il requisito del dolo specifico richiesto dall’art. 624 cod. pen., non è che il soggetto non sarà colpevole (3° stadio), bensì non si arriverà nemmeno al controllo dell’antigiuridicità (2° stadio). Il reato viene infatti meno già sul piano della tipicità.
Cerchiamo di comprendere quindi cosa sia il dolo e cosa sia la colpa. Per fare ciò, bisogna leggere gli articoli 42 e 43 del codice penale. Il primo ci dice, al comma II, che nessuno può essere punito per un delitto se non l’ha commesso con dolo, salvo che per quel delitto sia prevista espressamente la punibilità per colpa, preterintenzione, o per altro titolo (comma III, “…posto altrimenti a carico dell’agente”). Nelle contravvenzioni, invece, vale il principio opposto: nel silenzio della legge vale la responsabilità per entrambi i titoli (dolo o colpa), mentre se la legge si esprime può prevedere che la contravvenzione sia punibile solo per dolo o solo per colpa. A questo punto ci sorge il quesito: qual è la differenza tra dolo e colpa? E cos’è la preterintenzione? Vediamoli singolarmente.

venerdì 16 marzo 2012

Gli elementi oggettivi della fattispecie tipica.

 Appunti di diritto penale


Di Filippo Lombardi

Per rimanere sempre aggiornati con la rubrica "Appunti di diritto penale" cliccate sul tasto MI PIACE qui al lato ----->
Come è noto, la fattispecie normativa di parte speciale è composta da due elementi fondamentali: il precetto e la sanzione. La sanzione ci dice che se un soggetto tiene un comportamento vietato, o non tiene un comportamento obbligato, è sanzionato con la pena Y. Il precetto invece illustra il comando o il divieto, e per farlo necessita di descrivere accuratamente la situazione con cui eventualmente un soggetto può trovarsi a fare i conti.
ES. L’articolo 624 cod. pen. ci dice che chi ruba è sottoposto ad una pena. Troviamo il divieto leggibile come “Non rubare”, e allo stesso tempo la norma ci deve spiegare cosa significa rubare, cioè quale condotta integrerà il reato. [Nel caso di specie chi sottrae la cosa mobile altrui, a chi la detiene, e se ne impossessa per trarne profitto per sé o per altri]
E’ evidente quindi che la norma si compone di concetti vari, i quali, come fossero un mosaico, si uniscono per darci un quadro della situazione tipica che comporterà la sanzione.  Questi concetti sono gli elementi descrittivi e gli elementi normativi. I primi rimandano alla sfera naturalistico/esperienziale, cioè alla realtà circostante, e sono progressivamente integrati, in particolar modo dal progresso scientifico. I secondi possono essere giuridici o extra-giuridici. Gli elementi giuridici rimandano a norme giuridiche, di cui è richiesta la conoscenza in capo ai consociati, non come significato tecnico ma come significato “parallelo nella sfera laica”. Ad esempio, al ladro non viene richiesto, in merito al concetto di “altruità” di conoscere a memoria e in senso tecnico le norme del codice civile su possesso, proprietà e detenzione, ma gli si richiede che abbia una conoscenza del significato sociale di “cosa appartenente ad altra persona e non a sé stessi”. Gli elementi extra-giuridici, invece, sono concetti normalmente impalpabili (buon costume, pudore, moralità familiare) e che trovano riscontro a livello sociale. Cioè, sarà il contesto sociale a conferire a questi concetti un contenuto più o meno ampio, a seconda di usi, costumi, tradizioni, consuetudini, progresso o emancipazione sociale raggiunti in quel determinato luogo e in quella comunità, ecc.

martedì 13 marzo 2012

Nozioni di sistematica del reato.

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

Per rimanere sempre aggiornati con la rubrica "Appunti di diritto penale" cliccate sul tasto "MI PIACE" qui al lato  ---->
Dai principi fondamentali del diritto penale possono trarsi convincenti deduzioni in merito alle componenti essenziali del reato (c.d. elementi sistematici del reato).
Dinanzi alla questione su quali siano gli elementi strutturali del reato, sono state avanzate due tesi meritevoli di attenzione, di cui solo una viene attualmente seguita dalla dottrina maggioritaria. La prima concezione è detta concezione belinghiana del reato, anche conosciuta come “Teoria tripartita”. La seconda è detta “Teoria bipartita” o “Teoria degli elementi negativi del fatto”. Andiamo a vederne i tratti salienti e le evoluzioni che hanno subìto nel tempo.
La concezione tripartita individua come elementi strutturali del reato: la tipicità, l’antigiuridicità e la colpevolezza. Il ragionamento proposto da Beling scaturiva da tre principi che abbiamo già incontrato precedentemente, e cioè:

- il principio di tipicità.
- il principio di frammentarietà.
- il principio di colpevolezza.

Il principio di tipicità è corollario del principio di legalità e indica che il primo passo per un controllo di responsabilità penale deve concretizzarsi nell’essere la fattispecie concreta sussumibile nella fattispecie astratta. Deve, cioè, abbinarsi perfettamente agli elementi richiesti dalla norma penale, ed essere “coperta” da quest’ultima.
La ratio dell’esistenza dell’antigiuridicità deriva da ciò che abbiamo già individuato in merito al principio di frammentarietà, segnatamente da una delle tre statuizioni che la esplicavano: non tutto ciò che è illecito è antigiuridico. Ciò significa che vi saranno fatti tipici che, per ragioni che successivamente vedremo quando si parlerà delle cause di giustificazione, non saranno considerati antigiuridici. Cioè, saranno tollerati perché facoltizzati da altre norme o rami dell’ordinamento. Il fatto che un comportamento, seppur tipico, possa arrivare ad essere considerato non punibile in virtù della mancanza di antigiuridicità, ci deve portare a considerare la tipicità come un indizio dell’illiceità di un fatto, ma non come direttamente comprovante tale illiceità.
E’ proprio a questo punto che individuiamo la differenza sostanziale tra la concezione tripartita e la concezione bipartita. Nella seconda, non esiste l’antigiuridicità. O meglio, l’antigiuridicità è già inglobata nella tipicità. La concezione bipartita ritiene che, nel momento in cui un fatto sia tipico, esso sarà antigiuridico per diretta conseguenza. La tipicità, dai sostenitori di questa teoria, sarà vista come diretta illiceità del fatto e non come mera rilevanza penale su cui poi si debba attuare un secondo grado di controllo. Detto questo, si spiega anche perché la dottrina definisca tale teoria “degli elementi negativi del fatto”: perché le cause di giustificazione, che per Beling eliminano l’antigiuridicità, per i sostenitori della teoria bipartita fanno venire meno lo stesso fatto tipico.
Le due teorie si reincontrano quando si tratta di enucleare il terzo (o il secondo) elemento strutturale, cioè la colpevolezza. Ricapitolando, la teoria belinghiana prevede tre elementi strutturali del reato (tipicità, antigiuridicità, colpevolezza); la teoria degli elementi negativi del fatto ne prevede due (tipicità antigiuridica, o meglio “antigiuridicità tipizzata”, e colpevolezza).
La teoria maggiormente seguita, perché idonea a meglio rappresentare i passaggi logici nel ragionamento finalizzato a comprendere della colpevolezza dell’agente, è quella belinghiana, la quale ha visto apportarsi un correttivo non irrilevante in tema di colpevolezza. Beling riteneva, infatti, che nell’alveo della colpevolezza bisognasse far rientrare solo ed esclusivamente il legame psichico tra soggetto e fatto. Considerava, quindi, requisiti della tipicità gli elementi oggettivi della fattispecie astratta; requisiti dell’antigiuridicità l’assenza di cause di giustificazione; e requisiti della colpevolezza il dolo e la colpa. Successivamente la sua teoria (detta “Concezione psicologica della colpevolezza”) fu criticata da un altro teorico, Frank, il quale elaborò la “Concezione normativa” della colpevolezza. Basti qui ricordare (della Colpevolezza si parlerà ampiamente in un secondo momento, affrontando tutti i risvolti in tema di errore, responsabilità oggettiva,presupposti della colpevolezza,scusanti legalmente riconosciute) che secondo Frank il dolo e la colpa non sono altro che elementi sì soggettivi, ma in grado di compromettere con la loro assenza direttamente il fatto tipico. Per meglio dire, secondo Frank se per la sussistenza di un reato viene richiesto il dolo, e questo elemento soggettivo viene provato come non esistente nel momento della condotta, non ci sarà la necessità di arrivare ad un controllo sulla colpevolezza: verrà, in principio, meno già il fatto tipico, poiché il dolo e la colpa, pur essendo elementi soggettivi, rientrano comunque tra i caratteri necessari affinché il fatto possa dirsi tipico. Notiamo, quindi, che il “contenitore” rappresentato dalla colpevolezza si è immediatamente svuotato, essendole stati sottratti i due unici elementi che la riempivano. Frank apporta in questo momento il correttivo di cui si parlava, e cioè “riempie” la colpevolezza con un concetto elastico: la rimproverabilità. Essa è vista come criterio normativo, nel senso che un soggetto sarà più o meno rimproverabile a seconda se dallo stesso potesse richiedersi il rispetto effettivo della norma, tenendo in considerazione le circostanze oggettive che hanno fatto da contorno al fatto, e le caratteristiche soggettive inerenti all’agente.
La teoria tripartita del reato è quindi strumento utile ai fini del controllo giudiziale sulla responsabilità penale. Il primo stadio concerne il controllo di sussunzione, valutare cioè se il fatto concreto presenta i caratteri del fatto tipico. Poi bisogna valutare se il fatto tipico è antigiuridico, cioè se non sussistono cause di giustificazione e se il fatto non è tollerato, autorizzato o facoltizzato in alcun ramo dell’ordinamento, e in seguito controllare se il fatto tipico e antigiuridico poteva essere in concreto “evitato” dal soggetto agente. Quest’ultima fase comporterà un controllo sulla diligenza tenuta in concreto dall’agente, per valutare se egli avrebbe potuto fare di più, alla stregua dei parametri sopra indicati, per rimanere nell’alveo della liceità. Più elevato è il grado di diligenza che si poteva richiedere in concreto al soggetto agente, e più egli sarà rimproverabile. Quando la tipicità e l’antigiuridicità saranno stati accertati, e la colpevolezza sussisterà senza dubbio, l’entità della pena oscillerà a seconda del grado di rimproverabilità, tra il minimo e il massimo edittale, tenendo altresì in considerazione gli altri elementi utili ai fini della commisurazione della pena, ovvero i criteri di valutazione della gravità del reato, di cui all’art. 133 del codice penale.

sabato 10 marzo 2012

I principi fondamentali del diritto penale.


Appunti di diritto penale

di  Filippo Lombardi
 
Il diritto penale può definirsi come la branca del diritto pubblico che si occupa della repressione dei reati. La difficoltà maggiore è stata per l'appunto quella di definire il concetto di reato, e il paradosso di maggior rilievo è che una definizione aprioristica è stata ritenuta impossibile, finendo per poter definire il concetto di reato solo secondo una valutazione ex post, cioè dopo aver analizzato i principi basilari che qualificano il diritto penale come ambito.

Il primo principio fondamentale del diritto penale è il principio di materialità. Questo principio vuol dire che il diritto penale non punirà la mera intenzione. Punirà la condotta materiale che sfocia dall'individuo. Il principio in questione è fondamentale perché ci dà la prima qualificazione di diritto penale. Non si parlerà mai di diritto penale dell'autore, ma di diritto penale del fatto. A ben vedere, quindi, il diritto penale non si pone come scopo quello del rimprovero delle intenzioni, dei pensieri, del modo di essere. Rilevante per esso, sarà invece l'effettiva condotta (attiva o omissiva) che quel soggetto porrà in essere sul piano concreto, sul piano materiale appunto. Il diritto penale non mi punirà nel caso in cui io voglia uccidere taluno e non metta in pratica il mio proposito. Interverrà solo nel caso in cui io faccia "uscire" fuori dalla mia mente l'idea criminosa e uccida effettivamente la mia vittima.

Il principio di materialità è strettamente connesso col principio di offensività, anzi sarà il suo stesso presupposto.

Rubrica "Appunti di diritto penale"

Da oggi riprende vita sul blog la rubrica"Appunti di diritto penale" con la quale ci eravamo prefissi l'obiettivo di trattare gli argomenti del diritto penale sostanziale in maniera semplice ma allo stesso tempo approfondita.
Per rimanere sempre aggiornati sugli argomenti trattati cliccate sul tasto MI PIACE qui al lato ----->
In passato ci eravamo occupati delle cause di giustificazione, oggi invece riprendiamo  dai principi fondamentali del diritto penale grazie al contributo del dott. Filippo Lombardi che sarà subito pubblicato.
Si riporta di seguito una premessa del progetto fatta dallo stesso dott. Lombardi (curatore anche del blog spuntianalitici.blogspot.com):


E' da qualche settimana che lo pensavo, e oggi mi sono finalmente deciso. Ripensando agli scorsi anni universitari, ho deciso di aiutare gli studenti alle prese con gli esami di diritto penale e procedura penale, con questo blog. Come avrete avuto (spero!) modo di notare, il blog fornisce con una frequenza più o meno elevata (non me ne vogliate!) degli articoli in ambito prevalentemente penalistico, che inquadrano determinate questioni problematiche sulle quali la dottrina o la giurisprudenza hanno cercato di dare risposte concrete alla luce di recenti dispute teoriche o controversie giudiziarie. Da oggi, invece, oltre agli articoli "specifici" offrirò degli elaborati più generali, concernenti le tematiche del diritto penale (parte generale + alcuni reati più importanti) e del diritto processuale penale, che non devono sfuggire a chi sta preparando un esame universitario nelle suddette materie. Come ho già accennato, è comprensibile quindi che la cerchia di destinatari a cui miro con questi scritti è quella degli studenti universitari. Spero che però, al contempo, possano tornare utili anche alle altre categorie di giuristi, che si dilettino con me nel rispolverare un po' gli argomenti presenti in tutti i manuali. Sono ben accetti commenti che apportino domande su quanto scritto, sollecitino la risoluzione di ulteriori dubbi su quanto (in buona fede ed eventualmente) omesso od offrano articoli, sentenze e note integrative dell'argomento. Sottolineo in questa sede che questo mio lavoro non è assolutamente finalizzato a causarvi una sostituzione dei normali manuali sui quali studiate. E' consigliabile, pertanto, affiancare i miei articoli al normale studio universitario, atteggiandosi gli stessi solo come semplice "focus" su tematiche di ampio rilievo. Specifico, inoltre, che i testi che leggerete ometteranno di scendere in particolari quando quei particolari potranno facilmente essere ricavati dalle norme, e si preoccuperanno maggiormente di fornire il "filo rosso" della materia per trattare di vari argomenti in maniera lineare e unitaria, di cui andrete a reperire, se del caso, gli opportuni approfondimenti nei manuali che normalmente usate per la preparazione all'esame. Buona lettura!

martedì 6 marzo 2012

Gomitata durante la partita di calcetto: reato di lesioni colpose gravissime. I limiti della scriminante del rischio consentito



Cassazione penale, sez. IV, 28 febbraio 2012, n. 7768

Per rimanere sempre aggiornati sulle ultime sentenze della Cassazione cliccate sul tasto MI PIACE  qui al lato ----->

Nella sentenza in commento la Suprema Corte si trova nuovamente a tracciare i confini della scriminante del c.d. “rischio consentito” durante lo svolgimento di un’attività sportiva. Ci si chiede se esorbita dall’area di non punibilità la condotta di gioco, pur finalizzata allo sviluppo di un'azione di gioco, ma in cosciente e volontaria violazione del regolamento sportivo, che si appalesi come assolutamente sproporzionata ed estranea alle finalità del gioco e contraria ai principi base di lealtà e correttezza.
La Corte ritiene che in tal caso si esorbita dall'area di non punibilità in ragione dell'operatività della scriminante non codificata del c.d. rischio consentito.
Il caso è quello di Caio che viene  condannato per il delitto di cui all'art. 590, comma 2 cod. pen. (così modificata l'originaria contestazione ex artt. 582, 583, comma 1 n. 1 e comma 2 n. 3, 585, comma 1, 577, comma 1 n. 4 in relazione all'art. 61 n. 1 cod. pen.) commesso in Firenze il 24 aprile 2004 in danno di Tizio che, colpito con una violenta gomitata all'addome nel corso di una partita di calcio amatoriale, aveva subito lesioni personali consistite nella rottura della milza ed in ematoma di pancreas sì da rendere necessario ed urgente un intervento chirurgico di splenectomia; dalle quali era derivata una malattia giudicata guaribile in 110 giorni nonché la perdita dell'uso dell'organo della milza. All'esito dell'istruttoria espletata nel corso del giudizio di primo grado, era rimasto accertato che, mentre Tizio stava correndo - palla al piede - lungo la linea laterale destra sulla trequarti della metà-campo avversaria, era intervenuto, sulla sinistra l'imputato (difensore dell'opposta compagine che, durante tutta la partita, aveva attinto lo I. con ripetuti falli) colpendolo con una violentissima gomitata al fianco sinistro, di fatto disinteressandosi del pallone.
Il Tribunale, c:on argomentazioni condivise dalla Corte d'appello, aveva ritenuto che il gesto, sicuramente volontario, assolutamente contrario alle regole del gioco e del tutto sproporzionato alla natura amichevole della partita, scevra da contenuti di esasperato agonismo e di aspettativa di vittoria per coloro che vi prendevano parte, era tuttavia connesso ad un'azione di gioco volta ad acquisire il controllo del pallone dall'avversario. Sicché la condotta dell'imputato, benché non connotabile in termini dolosi (non essendo il gioco un mero pretesto od una studiata occasione per colpire proditoriamente ed immotivatamente Tizio) aveva tuttavia travalicato i limiti della scriminante non codificata del c.d. rischio consentito,. ricostruita dalla giurisprudenza in applicazione del combinato disposto degli artt. 50 e 51 cod. pen. restando quindi configurabile una responsabilità dell'imputato a titolo di lesioni colpose gravissime.
Di seguito si riporta la motivazione della Suprema Corte:

sabato 3 marzo 2012

Il medico del mafioso: favoreggiatore o associato?


 di Domenico Farina

(Traccia esame avvocato 2001)
Tizio, associato alla mafia, partecipa ad un conflitto a fuoco, con gli esponenti di un cosca rivale, riportando ferite da arma da fuoco ad un piede. Per le necessarie cure viene approntato, in luogo isolato e difficilmente raggiungibile un ambulatorio di fortuna, nel quale viene chiamato a prestare la sua opera, nottetempo, Caio, medico chirurgo, con l'ausilio di un anestesista e due infermieri. Caio, consapevole dell'appartenenza di Tizio ad un'associazione per delinquere di stampo mafioso, presta la propria opera di soccorso ed omette di trasmettere il referto all'Autorità giudiziaria, tornando più volte anche nei giorni successivi a trovare il paziente per verificarne le condizioni di salute. Temendo conseguenze per la sua condotta, Caio si reca successivamente da un legale. Il candidato, assunte le vesti del legale, premessi cenni sulla differenza tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa ed il reato di favoreggiamento, delinei la problematica sottesa alla fattispecie in esame e rediga motivato parere.
Possibile Soluzione
Nel caso di specie illustrato, due sono le fattispecie criminose che assumono rilievo: il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p. ed il reato di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. Le differenze strutturali tra le due figure in esame sono evidenti e significative.

venerdì 2 marzo 2012

Confisca: applicabilità al prezzo del reato in assenza di una sentenza di condanna.


 di Giovanni Miccianza

La confisca disciplinata nell’art. 240 c.p. è una misura di sicurezza patrimoniale, inscrivibile nel più ampio genus costituito dalle sanzioni penali, la quale determina, dopo che la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile, l’acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni elencati nel predetto enunciato legale.
L’art. 240 c.p. prevede due forme di confisca, in linea generale subordinate all’emanazione di una sentenza di condanna. La prima ipotesi è la confisca discrezionale tramite la quale si possono espropriare le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché le res che ne costituiscono il prodotto, vale a dire l’oggetto derivante in via immediata e diretta dalla commissione del reato. La seconda figura di confisca è ad applicazione obbligatoria ed ha ad oggetto il prezzo del reato, che consiste nell’utilità economica offerta dal mandante per determinare il reo alla commissione del reato, nonché le cose la cui fabbricazione, il cui uso e la cui alienazione e detenzione costituisce reato, rispetto alle quali la legge, considerando l’intrinseca criminosità di queste, non prevede che sia intervenuta una sentenza di condanna.
Ci si chiede se sia applicabile la misura ablativa della proprietà in relazione ai beni costituenti il prezzo del reato, vale a dire il compenso dato al reo per commettere il reato, ancorché non sia stata pronunciata una sentenza di condanna, ma sia stato dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato contestato.
Secondo certa giurisprudenza è da intendere nel senso della obbligatorietà della confisca anche in caso di proscioglimento dell’imputato. Secondo una diversa tesi, invece, l’obbligatorietà della confisca non può prescindere da una pronuncia di condanna.
La Corte a composizione allargata chiarì che l’avverbio “sempre”, previsto fra le note descrittive della disciplina sanzionatoria contenuta nell’art. 722 c.p., ha il significato di rendere obbligatoria una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa, ma non quello di consentire l’applicazione della misura anche nel caso di estinzione del reato (Cass. pen. Sez. Un., 23 aprile 1993, n. 5).
Più di recente, rivalutando la soluzione propugnata dalle Sezioni Unite, si è affermato che in caso di estinzione per prescrizione del delitto di cui all’art. 319-321 c.p. la confisca del prezzo del reato non può essere ordinata anche in caso di proscioglimento per prescrizione “poiché la particolare natura dell’oggetto della misura patrimoniale, non illecito di per sé ma per il collegamento con il reato del quale si considera il prezzo, presuppone l’accertamento del reato stesso” (Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 2008, n. 27043).
Le Sezioni Unite, nuovamente sollecitate sulla questione da un’ordinanza di rimessione della Sezione I, hanno recepito e riproposto le cadenze argomentative dell’orientamento giurisprudenziale impostosi all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso (Cass. pen., Sez. Un., 15 ottobre 2008, n. 38834). Inoltre, soltanto le cose oggettivamente criminose di cui all’art. 240, comma 2, n. 2, sono confiscabili, anche se non è stata pronunciata sentenza di condanna.
Occorre tuttavia dar conto ad una recente pronuncia della Suprema Corte, la quale, disattendendo l’autorevole arresto delle Sezioni Unite ha statuito che “in caso di estinzione del reato (nella specie, per intervenuta prescrizione), è applicabile la confisca obbligatoria, pur in assenza di sentenza di condanna, non solo nelle ipotesi di cui al numero 2 del comma 2 dell’art. 240 c.p., ma anche in quelle previste dal numero 1 dello stesso comma 2 del citato articolo. In tali ipotesi, peraltro, compete al giudice accertare l’esistenza del fatto costituente reato, trattandosi di indagine che, pur non subordinata alla sola sommaria valutazione ex art. 129 c.p.p., non investe questioni relative all’azione penale, bensì soltanto l’applicazione di una misura di sicurezza, sottratta all’effetto preclusivo della causa estintiva” (Cass. pen., Sez. II, 24 agosto 2010, n. 32273).
Quindi, la più recente giurisprudenza di legittimità, in casi analoghi a quelli di specie, contrariamente ai principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite, è propensa ad applicare obbligatoriamente la confisca di cui all’art. 240, comma 2, n. 1, ancorché difetti una sentenza di condanna.