martedì 13 marzo 2012

Nozioni di sistematica del reato.

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

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Dai principi fondamentali del diritto penale possono trarsi convincenti deduzioni in merito alle componenti essenziali del reato (c.d. elementi sistematici del reato).
Dinanzi alla questione su quali siano gli elementi strutturali del reato, sono state avanzate due tesi meritevoli di attenzione, di cui solo una viene attualmente seguita dalla dottrina maggioritaria. La prima concezione è detta concezione belinghiana del reato, anche conosciuta come “Teoria tripartita”. La seconda è detta “Teoria bipartita” o “Teoria degli elementi negativi del fatto”. Andiamo a vederne i tratti salienti e le evoluzioni che hanno subìto nel tempo.
La concezione tripartita individua come elementi strutturali del reato: la tipicità, l’antigiuridicità e la colpevolezza. Il ragionamento proposto da Beling scaturiva da tre principi che abbiamo già incontrato precedentemente, e cioè:

- il principio di tipicità.
- il principio di frammentarietà.
- il principio di colpevolezza.

Il principio di tipicità è corollario del principio di legalità e indica che il primo passo per un controllo di responsabilità penale deve concretizzarsi nell’essere la fattispecie concreta sussumibile nella fattispecie astratta. Deve, cioè, abbinarsi perfettamente agli elementi richiesti dalla norma penale, ed essere “coperta” da quest’ultima.
La ratio dell’esistenza dell’antigiuridicità deriva da ciò che abbiamo già individuato in merito al principio di frammentarietà, segnatamente da una delle tre statuizioni che la esplicavano: non tutto ciò che è illecito è antigiuridico. Ciò significa che vi saranno fatti tipici che, per ragioni che successivamente vedremo quando si parlerà delle cause di giustificazione, non saranno considerati antigiuridici. Cioè, saranno tollerati perché facoltizzati da altre norme o rami dell’ordinamento. Il fatto che un comportamento, seppur tipico, possa arrivare ad essere considerato non punibile in virtù della mancanza di antigiuridicità, ci deve portare a considerare la tipicità come un indizio dell’illiceità di un fatto, ma non come direttamente comprovante tale illiceità.
E’ proprio a questo punto che individuiamo la differenza sostanziale tra la concezione tripartita e la concezione bipartita. Nella seconda, non esiste l’antigiuridicità. O meglio, l’antigiuridicità è già inglobata nella tipicità. La concezione bipartita ritiene che, nel momento in cui un fatto sia tipico, esso sarà antigiuridico per diretta conseguenza. La tipicità, dai sostenitori di questa teoria, sarà vista come diretta illiceità del fatto e non come mera rilevanza penale su cui poi si debba attuare un secondo grado di controllo. Detto questo, si spiega anche perché la dottrina definisca tale teoria “degli elementi negativi del fatto”: perché le cause di giustificazione, che per Beling eliminano l’antigiuridicità, per i sostenitori della teoria bipartita fanno venire meno lo stesso fatto tipico.
Le due teorie si reincontrano quando si tratta di enucleare il terzo (o il secondo) elemento strutturale, cioè la colpevolezza. Ricapitolando, la teoria belinghiana prevede tre elementi strutturali del reato (tipicità, antigiuridicità, colpevolezza); la teoria degli elementi negativi del fatto ne prevede due (tipicità antigiuridica, o meglio “antigiuridicità tipizzata”, e colpevolezza).
La teoria maggiormente seguita, perché idonea a meglio rappresentare i passaggi logici nel ragionamento finalizzato a comprendere della colpevolezza dell’agente, è quella belinghiana, la quale ha visto apportarsi un correttivo non irrilevante in tema di colpevolezza. Beling riteneva, infatti, che nell’alveo della colpevolezza bisognasse far rientrare solo ed esclusivamente il legame psichico tra soggetto e fatto. Considerava, quindi, requisiti della tipicità gli elementi oggettivi della fattispecie astratta; requisiti dell’antigiuridicità l’assenza di cause di giustificazione; e requisiti della colpevolezza il dolo e la colpa. Successivamente la sua teoria (detta “Concezione psicologica della colpevolezza”) fu criticata da un altro teorico, Frank, il quale elaborò la “Concezione normativa” della colpevolezza. Basti qui ricordare (della Colpevolezza si parlerà ampiamente in un secondo momento, affrontando tutti i risvolti in tema di errore, responsabilità oggettiva,presupposti della colpevolezza,scusanti legalmente riconosciute) che secondo Frank il dolo e la colpa non sono altro che elementi sì soggettivi, ma in grado di compromettere con la loro assenza direttamente il fatto tipico. Per meglio dire, secondo Frank se per la sussistenza di un reato viene richiesto il dolo, e questo elemento soggettivo viene provato come non esistente nel momento della condotta, non ci sarà la necessità di arrivare ad un controllo sulla colpevolezza: verrà, in principio, meno già il fatto tipico, poiché il dolo e la colpa, pur essendo elementi soggettivi, rientrano comunque tra i caratteri necessari affinché il fatto possa dirsi tipico. Notiamo, quindi, che il “contenitore” rappresentato dalla colpevolezza si è immediatamente svuotato, essendole stati sottratti i due unici elementi che la riempivano. Frank apporta in questo momento il correttivo di cui si parlava, e cioè “riempie” la colpevolezza con un concetto elastico: la rimproverabilità. Essa è vista come criterio normativo, nel senso che un soggetto sarà più o meno rimproverabile a seconda se dallo stesso potesse richiedersi il rispetto effettivo della norma, tenendo in considerazione le circostanze oggettive che hanno fatto da contorno al fatto, e le caratteristiche soggettive inerenti all’agente.
La teoria tripartita del reato è quindi strumento utile ai fini del controllo giudiziale sulla responsabilità penale. Il primo stadio concerne il controllo di sussunzione, valutare cioè se il fatto concreto presenta i caratteri del fatto tipico. Poi bisogna valutare se il fatto tipico è antigiuridico, cioè se non sussistono cause di giustificazione e se il fatto non è tollerato, autorizzato o facoltizzato in alcun ramo dell’ordinamento, e in seguito controllare se il fatto tipico e antigiuridico poteva essere in concreto “evitato” dal soggetto agente. Quest’ultima fase comporterà un controllo sulla diligenza tenuta in concreto dall’agente, per valutare se egli avrebbe potuto fare di più, alla stregua dei parametri sopra indicati, per rimanere nell’alveo della liceità. Più elevato è il grado di diligenza che si poteva richiedere in concreto al soggetto agente, e più egli sarà rimproverabile. Quando la tipicità e l’antigiuridicità saranno stati accertati, e la colpevolezza sussisterà senza dubbio, l’entità della pena oscillerà a seconda del grado di rimproverabilità, tra il minimo e il massimo edittale, tenendo altresì in considerazione gli altri elementi utili ai fini della commisurazione della pena, ovvero i criteri di valutazione della gravità del reato, di cui all’art. 133 del codice penale.

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