mercoledì 21 settembre 2011

Adempimento del dovere (Art. 51 C.P.)


Appunti di diritto penale

Art. 51 c.p. “l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo dell’autorità esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì che ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.”
L’esclusione dell’antigiuridicità della condotta tenuta adempiendo ad un dovere si fonda sul principio di non contraddizione, all’evidenza compromesso se l’ordinamento giuridico imponesse con una norma ovvero con un ordine dell’autorità un facere, e poi, contestualmente, lo sanzionasse penalmente.
La prima fonte del dovere è la norma giuridica: leggi ed atti aventi forza di legge; leggi regionali; regolamenti esecutivi; consuetudini secundum legem.
La seconda fonte del dovere scriminante è l’ordine legalmente dato dall’Autorità.
Si deve escludere che abbia efficacia scriminane l’ordine dato dal privato.
Legittimità dell’ordine
Affinchè possa valere come causa di giustificazione, l’ordine deve essere legittimo sotto il duplice profilo, formale e sostanziale.
I requisiti di validità formale sono la competenza del superiore ad emanare l’ordine, quella dell’inferiore ad obbedirvi, il rispetto delle forme previste dalla legge.
La legittimità sostanziale dell’ordine, invece, deriva dal rispetto delle norme che disciplinano l’esercizio del potere: così le ordinanze che dispongono misure cautelari sono legittime in presenza delle condizioni di applicabilità ex art. 273 c.p.p. e dell’art. 274 c.p.p.
L’ordine illegittimo, dunque, non scrimina tranne nelle due ipotesi di :
1. errore di fatto: si esclude la punibilità di chi commette il reato ritenendo di obbedire, per un errore sugli elementi normativi non penali, ad un ordine legittimo;
2. ordine insindacabile: la responsabilità penale del sottoposto è esclusa  quando la legge preclude ogni sindacato sull’ordine ricevuto. Nel caso in cui l’esecuzione dell’ordine integri gli estremi del reato, di questo risponde solo il superiore.
L’adempimento del dovere non può essere invocato come scriminante in presenza di un ordine manifestamente criminoso.
Casistica
Cassa sez. V 11 dicembre 2008: con riferimento al delitto di perquisizione arbitraria commesso da due carabinieri in esecuzione di un ordine impartito loro dal maresciallo, che non avendo ottenuto l’autorizzazione del magistrato alla perquisizione aveva simulato un controllo amministrativo per fingere di rinvenire una prova falsa che egli stesso aveva formato, la Cassazione ha affermato che “non può essere invocato quale causa di giustificazione l’adempimento di un dovere, se l’ordine ricevuto abbia ad oggetto il compimento di un atto palesemente delittuoso”.

lunedì 19 settembre 2011

Esercizio del diritto (Art. 51 c.p.)


Appunti di diritto penale

Art. 51 c.p.: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità esclude la punibilità
Comunemente ritenuta espressione del principio di non contraddizione, la scriminante dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p. impedisce l’applicazione della sanzione penale in danno di chi abbia realizzato una condotta astrattamente sussumibile in una fattispecie di reato, esercitando tuttavia una facoltà riconosciutagli dall’ordinamento.
Una azione non può essere contemporaneamente consentita e vietata dall’ordinamento.
Qui iure suo utitur naeminem laedit: la persona che nello sporgere querela riferisce dei fatti che offendono l’onore o il decoro del querelato, non risponde del reato di diffamazione (art. 595 c.p.), come non ne risponde l’avvocato che in scritti presentati all’autorità giudiziaria offende l’avversario del proprio cliente, se l’offesa concerne l’oggetto della controversia.
Vista la natura di norma penale in bianco dell’art. 51 che rimanda alle disposizioni attributive di diritti o facoltà bisogna in ogni caso verificare che la norma attributiva del diritto prevalga o soccomba nel confronto con la previsione incriminatrice.
Bisognerà sempre tenere conto del principio di bilanciamento di interessi.
Diritto scriminante
Quanto alla nozione di diritto scriminante, essa sembra comprendere insieme ai diritti soggettivi propriamente detti, le facoltà, le potestà, i diritti potestativi e comunque ogni attività giuridicamente autorizzata.
Quanto alle fonti esse sono comunemente identificate nella legge, anche extrapenale, nel regolamento, nella consuetudine, nonché in tutti gli atti pubblici o di autonomia privata ai quali la legge riconosce l’effetto di produrre situazioni giuridiche soggettive attive (provvedimenti giurisdizionali, atti amministrativi e contratti di diritto privato).
Discutendo dell’ampiezza del diritto scriminante è doveroso accennare al problema dei c.d. delitti culturalmente orientati.
Il problema è quello della punibilità di condotte che, tenute in Italia da soggetti appartenenti a culture diverse, perché di etnie diverse, integrano reato per il nostro ordinamento penale (ad es. maltrattamenti in famiglia), nonostante siano facoltizzate, imposte, approvate e condivise dalla cultura e dalle leggi di provenienza.
Sul punto i giudici italiani tendono ad escludere che il riconoscimento di un rilievo penale alla diversità culturale possa spingersi fino ad ammettere una sorta di esimente o scusante in presenza di condotte che, per quanto approvate dalla cultura di provenienza, sono lesive di beni fondamentali, dal nostro ordinamento sul piano costituzionale.
I limiti del diritto scriminante
Il diritto è una situazione giuridica soggettiva che pone il titolare nelle condizioni di esercitare una serie di poteri, strumentali al soddisfacimento dell’interesse tutelato, con le modalità ed entro i confini delimitati, anche implicitamente, dalla legge che lo riconosce.
Chi travalica tali limiti interni abusa del diritto e pertanto non può beneficiare della scriminante di cui all’art. 51 c.p..
Un limite interno comune a tutti i diritti è quello desumibile dagli artt. 392 e 393 c.p. che puniscono chi vuol far valere le proprie, anche legittime, pretese con l’uso della violenza su cose o persone.
In secondo luogo bisogna valutare la presenza di limiti esterni, derivanti cioè dalle altre norme di pari dignità che riconoscono alteri interessi rispetto ai quali va dunque valutata la prevalenza o meno del diritto esercitato.
La questione è particolarmente complessa laddove si ha a che fare con diritti di livello costituzionale.
Diritto di cronaca e diritto di critica come scriminanti del reato di diffamazione
Il diritto di cronaca garantito dall’art. 21 Cost. presenta due profili contenutistici:
- quello individualistico, della garanzia al singolo come tale della possibilità di  manifestare il proprio pensiero;
- quello funzionalistico, sulla base del quale tale diritto si propone  come strumento di partecipazione del singolo alla vita democratica della comunità.
Al secondo profilo si è fatto più volte riferimento  per definire i limiti interni alla manifestazione del pensiero.
Il diritto contrapposto è quello all’onore che è considerato primario al pari della libertà di stampa.
Il loro conflitto richiede la possibilità di reciproche compressioni in presenza di determinate condizioni.
La Cassazione ha costantemente ribadito le 3 condizioni sulla base delle quali l’esercizio del diritto di cronaca può avere efficacia scriminante rispetto al reato di diffamazione:
1. Verità: un fatto che, se conosciuto, determina una lesione dell’altrui reputazione merita la divulgazione solo quando concorra l’esigenza della comunità di essere informata.
Sul concetto di verità si discute se ci si riferisca alla verità in senso oggettivo o soggettivo (con riferimento alla percezione del giornalista.
Sul punto orientamenti della Cassazione più rigorosi richiedono una attenta verifica da parte del giornalista delle notizie divulgata, al punto che alcuni parlano di fatti constatati direttamente dal giornalista.
2. Pertinenza: impone che i fatti narrati rivestano interesse per l’opinione pubblica.
Rimangono escluse le attività di divulgazione di notizie offensive di un soggetto e relative alla sua vita privata (qui entrano in gioco anche gli artt. 14 e 15 Cost.)
Tuttavia essi devono cedere quando la particolare notorietà del personaggio o la rilevanza delle funzioni pubbliche svolte suscitino interesse anche per il suo comportamento nella vita privata.
3. Continenza: richiede la correttezza nell’esposizione dei fatti, in  modo che siano evitate aggressioni gratuite all’altrui reputazione.
La giurisprudenza richiede un esame approfondito dell’intero contenuto dell’articolo diffamatorio.

Diritto di critica
La giurisprudenza ne ha affermato la sua autonomia rispetto al diritto di cronaca.
I limiti costituiti dall’art. 21 cost. sono essenzialmente quelli della rilevanza sociale dell’argomento e della correttezza delle espressioni adoperate.
Detto limite risulta travalicato quando l’agente trascenda in attacchi personali volti a colpire sul piano individuale il bersaglio della critica, senza alcuna finalità di pubblico interesse ma all’unico scopo di aggredire l’altrui sfera morale.

venerdì 16 settembre 2011

IL Consenso dell'avente diritto (Art. 50 C.P.)

Appunti di diritto penale

Art. 50 c.p.:Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”.
Questa scriminante non pone un problema di comparazione degli interessi ma si basa sulla carenza di un interesse da tutelare. In altre parole la liceità deriva dall’indifferenza mostrata dall’ordinamento alla tutela del bene allorchè il soggetto legittimato esprima il consenso alla sua lesione sempre che si tratti di bene disponibile alla cui salvaguardia l’ordinamento non intenda abdicare.
Non rientrano nel campo applicativo della scriminante tutti quei casi i cui la mancanza di consenso costituisce un elemento imprescindibile per la configurazione dell’incriminazione. (esempio Violazione di domicilio).
Natura giuridica consenso: a fronte di chi qualifica il consenso come negozio giuridico, di diritto privato o di diritto pubblico, la dottrina prevalente sembra concordemente orientata per la sua configurazione come mero atto giuridico.
Si ritiene in particolare che il consenso sia un permesso con cui si conferisce al destinatario il potere di agire.
La revocabilità del consenso è possibile fino a quando la condotta lesiva iniziata non sia stata esaurita e comunque fino a quando la condotta lesiva, quantunque in corso, non possa più essere arrestata utilmente (si pensi al classico caso dell’intervento chirurgico  in fase ormai avanzata e non regredibile).
Non è necessaria una forma particolare per esprimere il consenso, anche in considerazione della natura giuridica non convenzionale. Anche il silenzio, allorquando assuma un significato inequivocabile e sia correttamente valutato nel contesto concreto può valere a configurare il consenso rilevante ex art. 50 c.p..
L’avente diritto deve accettare non solo la condotta ma anche l’evento quale conseguenza di quella condotta,nonché tutti i requisiti essenziali del tipo di reato.(per un reato a forma libera ben potrà prestarsi il consenso solo in relazione a particolari tipi di condotta).
Il consenso deve essere: 1. attuale – sussistente prima dell’avvio della condotta;
                                       2. libero – il soggetto possa disporre del diritto validamente;
                                       3. informato – il soggetto deve essere notiziato di ogni particolare utile per             riflettere sulla opportunità del rilascio del permesso;
                                       4. specifico – non in maniera vaga e indistinta.
Limiti soggettivi
Il consenso deve essere prestato dal titolare dell’interesse tutelato, ossia da colui che nell’architettura del reato sarebbe destinato a rivestire il ruolo del soggetto passivo.
Quanto alla capacità del consenziente c’è chi pretende la maggiore età e chi invece ritiene necessaria una indagine sulle capacità del minore di anni diciotto.
Si reputa condivisibile il richiamo alla sufficiente capacità o alla sufficiente maturità.
Limiti oggettivi
Il consenso non può essere prestato per tutti i diritti ma solo per quelli disponibili, ovvero per quelle posizioni giuridiche per le quali lo Stato non conserva u  proprio peculiare interesse alla conservazione del bene.
1. Beni giuridici appartenenti allo Stato o a enti pubblici: il consenso rimane inefficace per i delitti contro la personalità dello Stato, contro l’amministrazione della giustizia, contro la pubblica amministrazione;
2. Beni della collettività indistinta: delitti contro l’economia pubblica. L’ordine pubblico, il buon costume, la fede pubblica;
3. Vita e integrità fisica: sul bene Vita non possono esservi perplessità se si considera che l’ordinamento punisce anche l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e l’istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.)
Relativamente disponibile è l’integrità fisica, in fatti l’uomo non è illimitatamente dominus membrorum suorum.
Dagli artt. 32 Cost. e 5 Cod. Civ. si evincono i paletti agli atti di disposizione del proprio corpo.
La diminuzione dell’integrità fisica è possibile solo nel caso in cui essa sia temporanea e riparabile da un punto di vista organico o funzionale.
4. Libertà personale, onore e dignità: limitabili ma non in maniera permanente.

Il consenso nei reati colposi
Discussa è infine la rilevanza del consenso con riferimento ai reati colposi.
La giurisprudenza ne rimarca l’inefficacia sul rilievo dell’indisponibilità dei beni della vita e dell’integrità fisica (normalmente presidiati con l’incriminazione di fattispecie colpose), ovviamente al di là dei limiti stabiliti dall’art. 5 c.c., nonché evidenziando la ritenuta incompatibilità tra il consenso concepito come volontà di lesione e il carattere involontario del fatto colposo.
Contrariamente viene sostenuto dalla dottrina che può darsi che il consenso dell’interessato sia finalizzato proprio ad autorizzare l’agente a porre in essere violazioni delle norme cautelari prescritte per l’esercizio di attività intrinsecamente pericolose, il titolare assumendo il rischio della verificazione di un evento dannoso.
Confine insormontabile rimarrebbe comunque l’art. 5 c.c. essendo inaccettabili lesioni al di là dei limiti segnati dall’ordinamento.
Consenso presunto
Esso è irrilevante.
Parte della dottrina ne sostiene la rilevanza, allorchè il soggetto si trovi nell’impossibilità materiale di consentire e si possa ragionevolmente presumere, in assenza di contrarie indicazioni e sulla scorta di un giudizio obiettivo, che egli avrebbe consentito se avesse potuto.

giovedì 15 settembre 2011

Le cause di esclusione della pena

Appunti di diritto penale
Il codice penale non menziona espressamente le scriminanti, ma fa riferimento alle “cause di esclusione della pena”.
La nozione racchiude in sé situazione eterogenee, non riconducibili a un principio ispiratore unitario, accomunate dal solo fatto che la loro sussistenza esclude la punibilità.
Tre categorie dogmatiche:
1. le scriminanti (rendono lecito un fatto contemplato da una norma incriminatrice);
2. le cause di esclusione della colpevolezza (rendono non colpevole un fatto tipico, antigiuridico);
3. le cause di non punibilità in senso stretto (rendono non punibile un fatto tipico (antigiuridico) e colpevole).
Scriminanti
Il fondamento delle cause di giustificazione, risiede nel bilanciamento degli interessi in  conflitto.
L’interesse protetto dalla norma incriminatrice soccombe dinanzi all’interesse tutelato dalla norma legittimante.
Il fatto  non assume alcuna connotazione negativa per l’ordinamento, il quale lo consente, o addirittura lo impone.
L’assenza di antigiuridicità rende ininfluente che l’agente sia a conoscenza della concreta presenza dei presupposti della scusante.
Cause di esclusione della colpevolezza
L’attenzione viene rivolta al soggetto agente e riguarda l’elemento soggettivo del reato.
Esse sono previste sul presupposto che in determinate situazioni anomale la persona è sottoposta ad una particolare pressione psichica che influisce sul processo motivazionale alla base della condotta tipica.
In questi casi rimane ferma la tipicità e antigiuridicità del fatto, ma l’ordinamento tiene conto dei riflessi psicologici derivanti dalla circostanza anomala e ritiene di non dover intervenire con la sanzione penale.
E’ necessario che l’agente sia a conoscenza della concreta sussistenza dei presupposti della scusante.
Cause di non punibilità in senso stretto
Si collocano, a differenza di scriminanti e scusanti, all’esterno della struttura del reato e non incidono sull’esistenza dello stesso, limitandosi  solamente a inibire l’applicazione della pena.
Permangono antigiuridicità e colpevolezza, ma ragioni di pratica convenienza politico criminale conducono ad escludere l’applicazione della sanzione penale, per l’esigenza di salvaguardare contro interessi che risulterebbero altrimenti lesi da un’applicazione della pena nel caso concreto.
Esempio classico è quello del figlio che commette un furto ai danni di un genitore. In questo caso il soggetto attivo del reato va esente da pena ai sensi dell’art. 649 c.p., il cui fondamento è da ravvisarsi nella salvaguardia delle relazioni familiari, che altrimenti potrebbero subire un grave turbamento.
Formula assolutoria in queste ipotesi non sarà “perché il fatto non costituisce reato ma “perché l’autore non è punibile.
Cause di estinzione
Le scriminanti, infine, non vanno  confuse con le cause di estinzione del reato (morte del reo, aministia, prescrizione, ecc.), le quali rappresentano fatti giuridici posteriori alla perfezione del reato in tutti in suoi elementi, il cui verificarsi risolve ex tunc gli effetti del reato come tale. Ai sensi dell’art. 182 c.p. le cause di estinzione del reato hanno effetto solamente nei confronti di coloro ai quali si riferiscono, salvo che la legge disponga altrimenti.

LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE DELREATO
DEFINIZIONE: Le cause di giustificazione del reato, dette anche scriminanti o cause di liceità, vengono definite come quelle particolari situazioni in presenza delle quali un fatto che altrimenti costituirebbe reato, non acquista tale carattere perché è la legge che lo impone o lo consente.
Il fondamento politico sostanziale delle cause di giustificazione è individuato alla dottrina maggioritaria nel modello esplicativo di tipo pluralistico che richiama i principi di interesse prevalente e dell’interesse mancante o equivalente.
INTERESSE PREVALENTE: Esercizio del diritto
                                                   Adempimento del dovere
                                                   Legittima difesa
                                                   Uso legittimo delle armi
                                                   Stato di necessità
Si risolve in una valutazione comparativa degli interessi in conflitto : 1. quello tutelato dalla norma
                                                                                2. quello posto a fondamento della causa di liceità

INTERESSE MANCANTE O EQUIVALENTE: Consenso dell’avente diritto
Viene meno l’interesse da tutelare per effetto della rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene.
Dal punto di vista logico giuridico le scriminanti obbediscono al principio di non contraddizione:
uno stesso ordinamento non può nella sua unitarietà imporre o consentire e , ad un tempo, vietare il medesimo fatto senza rinnegare se stesso e la sua pratica possibilità di attuazione”. (Mantovani)
Inquadramento dogmatico
La collocazione dogmatica delle cause di giustificazione muta profondamente a seconda che si aderisca ad una visione analitica del reato ispirata al modello della bipartizione oppure a quello della tripartizione.
BIPARTIZIONE: scompone il reato in illecito oggettivo e colpevolezza
Le scriminanti vengono concepite come “elementi negativi” del fatto, vale a dire “come elementi che devono essere assenti perché esista un reato”.
TRIPARTIZIONE: scompone il reato in fatto, antigiuridicità e colpevolezza.
Colloca le cause di giustificazione all’interno dell’elemento intermedio denominato “antigiuridicità obiettiva”.
Tre i momenti logici dell’accertamento degli elementi dell’illiceità penale:
1. corrispondenza del fatto storico al modello legale di reato;
2. presenza, o meno, di cause di liceità;
3. sussistenza o meno del nesso psichico tra l’agente e il fatto.
L’antigiuridicità descrive il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico. Questa viene meno allorchè una norma, diversa da quella incriminatrice e collocata in qualunque parte dell’ordinamento, facoltizzi o renda doverosa la realizzazione del fatto tipico.
Responsabilità dei concorrenti:
Va esclusa la responsabilità in capo al soggetto che dia un apporto causale rilevante alla realizzazione plurisoggettiva di un fatto scriminato.
L’attitudine della scriminante ad incidere sulla tipicità ed antigiuridicità escludendole, induce a ritenere che nessuno possa essere penalmente perseguito per quel fatto.
Diverso è il discorso per la cause di esclusione della pena in senso stretto.
Rilevanza del putativo e dell’errore
Rilevante è l’errore circa la loro esistenza, come attestato dalla disciplina della scriminante putativa dettata dall’art. 59 c.p. ultimo comma.
Art. 59 comma 4 c.p. “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena queste sono sempre valutate a favore di lui”.
Se l’errore dipende da colpa la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Esse hanno rilevanza oggettiva e si applicano all’agente per la sola circostanza di essere obiettivamente presenti, a prescindere dalla conoscenza o meno da parte di quest’ultimo.
Tale disciplina è simmetrica a quanto previsto dall’art. 47 c.p. in tema di errore di fatto.
Eccesso colposo nelle cause di giustificazione
La prospettiva del bilanciamento di interessi impone l’individuazione dei limiti entro i quali può reputarsi socialmente non dannoso il sacrificio di un interesse in ragione di un interesse contrapposto.
Ciò significa che quando si eccedono i limiti descritti dalla norma permissiva il fatto diviene obiettivamente antigiuridico; la valutazione dell’ordinamento si sposta, quindi verso la colpevolezza, dovendosi accertare la rimproverabilità o meno all’agente del superamento dei limiti scriminanti.
L’eccesso nelle cause di giustificazione è contemplato dall’art. 55 c.p. a tenore del quale “quando nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53, 54 si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Il richiamo alla non volontarietà del superamento del limite scriminante è di fondamentale importanza, in quanto l’ambito di applicazione dell’art. 55 c.p. è limitato alle ipotesi di responsabilità colposa. (art. 43 comma 1 c.p.)
Nell’eccesso colposo, la non volontarietà non riguarda l’evento ma interessa il travalica mento dei confini dell’esimente.
Dall’eccesso colposo si distingue l’eccesso doloso, consapevole e volontario, nelle scriminanti ravvisabile allorquando il soggetto, consapevole della situazione scriminante, sceglie di porre in essere una condotta reattiva che va al di là dei limiti consentiti. Questa situazione da luogo a punibilità a titolo di dolo.
L’eccesso colposo si distingue in: 1. eccesso nel fine (errore-motivo l’agente si rappresenta erroneamente i limiti della causa di liceità);
                                                              2. eccesso nei mezzi (errore-inabilità  l’agente valuta esattamente i confini della situazione legittimante, ma per inabilità, concitazione o altra causa riguardante l’esecuzione del fatto, non riesce a contenere la propria condotta all’interno dei limiti scriminanti.